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Ricordo ancora la prima volta che la conobbi, per lo meno da vicino…ero in una situazione apparentemente distensiva, durante una piccola vacanza al mare. Le strade in collina erano puttosto strette ed impervie e in molti tratti senza protezione alcuna verso lo strapiombo sul mare. Stavamo procedendo con l’auto in modo prodente, rispettando i limiti di velocità, ma ciononostante, improvvisamente sentii il mio cuore accellerare fino a sentirne i battiti nella gola…mi mancava il respiro, mi sembrava che tutto intorno a me girasse, mi sentii terrorizzata,  come se da un momento all’altro potessi precipitare giù e morire lungo quello strapiombo….dottoressa, ho avuto un attacco di panico vero? e che in effetti io ho sempre avuto un po’ paura dello salire in alto, dell’altezza. Dell’affacciarmi ad un balcone, del guardare il panorama da una torre, del scendere da una scala a pioli o come quella volta, dalla Tour Eiffel…Terrorizzata dall’dea di scendere con l’ascensore dalle pareti trasparenti, feci a piedi tutto il tratto disponibile con le scale, ma sono di ferro e sotto era il vuoto.Non so se è stato peggio questo o poteva esser peggio quell’ascensore. Ma come quella volta al mare, non ero mai stata”.

Ecco, se vi siete mai sentiti una sola volta in uno di questi modi, probabilmente, siete acrofobici. “Acro che”? Direte voi? Si, avete capito bene, acrofobici; questa strana parola ha un’orgine greca, ed il prefisso “aκρος“, significa “Alto”.

Il termine “Acrofobia” dunque riguarda la paura irrazionale dei luoghi elevati. Per essere definito come fobia specifica, e quindi diventare patologia, i sintomi devono avere almeno sei mesi di durata.

Non sottovalutiamone i segnali e non evitiamo di esporci, pur con gradualità, alle situazioni in cui questi fenomeni possono accadere.

Rendere inoltre esplicito a chi ci sta vicino quello che ci accade, superando l’iniziale sentimento di smarrimento e vergogna, ha inoltre solitamente l’utile effetto di  sentirci rassicurati e di consentirci di ricominciare ad utilizzare in modo adeguato e funzionale le nostre risorse cognitive.

Se a sperimentare una fobia specifica e situazionale di questo tipo invece che un adulto, fosse un bambino, è necessario ricordare che nell’infanzia i sintomi ansiosi spesso si manifestano con il pianto, la collera, fenomeni di immobilizzazione (freezing), oppure aggrappamento (clinging),  in qualche caso scambiati per “capricci” momentanei, con il risultato di forzare in modo repentino il bambino verso una situazione che lo spaventa. A volte invece possono essere sufficienti una maggiore attenzione e qualche indicazione come quelle sopra riportate che appunto aiutino il genitore a decifrare segnali che hanno un significato diverso da quello percepito.

A giungere in consultazione sono solitamente pazienti i quali provano “sulla propria pelle” fenomeni invalidanti e pervasivi come gli attacchi di panico sopra descritti, e che per questo possono arrivare a forme di evitamento estreme che talvolta toccano la sfera relazionale e sociale; a questo punto la fobia si è ben radicata nella persona, e anche se è bene ricordare che con tecniche cognitivo-comportamentali e strategiche è sempre possibile giungere ad una remissione dei sintomi, saperli riconoscere in anticipo ci aiuta ad intervenire in modo tempestivo ed ancora più efficace.

L’intervento psicologico , laddove appunto messo in atto da un professionista psicologo e/o psicoterapeuta qualificato ed iscritto all’albo , può comunque sostenere la persona nel superare un momentaneo stato di disagio anche se questo ancora non è diventato una vera e propria patologia, e nel recuperare a pieno titolo la propria salute ed il proprio benessere psichico.

 D.ssa Elena Tigli

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