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L’ansia, una scomoda compagna di viaggio o amante preziosa?

Dottoressa ha presente quella canzone di Pino Daniele che fa “e sale sale e salirà, quest’ansia che ci unisce” …. ecco, a volte ho proprio l’impressione che sia così, l’ansia è diventata una compagna di vita, un’amante, di quelle un po’ bastarde e capricciose, che fa un po’ come vuole lei, ma che in fondo conosci bene, e un po’ ti ci affezioni…mi scusi per le parolacce…“.

Comincia così una seduta con Manuela, giunta ad un punto cruciale della sua terapia. Come molti, Manuela convive con i suoi sintomi ansiosi da tempo e come molti arriva a descrivere l’ansia quasi come avesse una corpo proprio, una presenza ingombrante, ma una di quelle presenze che non ci lascia mai, di cui ci si sente in gran parte dipendenti e forse ad un certo punto, quasi un po’ amici.

Ma che cos’è l’ansia? In generale, indica un complesso di reazioni emotive, collegate principalmente alla paura, che si manifestano in seguito a uno stimolo valutato come negativo. L’ansia aumenta quando la persona valuta il pericolo come imminente e grave, mentre diminuisce quando il soggetto sente di poter gestire la situazione e in qualche modo, di controllarla. Tale emozione è considerata una reazione adeguata se innescata da un pericolo reale e se scompare quando il pericolo viene a cessare, stimola spesso il soggetto ad agire (eustress), anche se, oltre un certo limite, può determinare un’interferenza sulle capacità dell’individuo di affrontare la situazione.

Se l’ansia è una risposta di tipo adattivo è pur vero che, in alcuni casi, come quello di Manuela,  può diventare patologica.

Questo accade quando la capacità e l’efficienza di una persona vengono compromesse; il livello d’intensità dei sintomi sperimentato dall’individuo non è proporzionato all’entità della situazione minacciosa e un reale pericolo non esiste più. In queste circostanze, l’ansia non è più un meccanismo di sopravvivenza, ma una reazione inappropriata a situazioni, con un’attivazione emotiva che è eccessiva per quanto riguarda la frequenza con cui si verifica, l’intensità con cui si manifesta e la durata. Si fatica pertanto a dare un significato ed un nome all’esperienza provata, che spesso si ripete in modo apparentemente immotivato.

 In un’ottica cognitivo-comportamentale, le credenze e le convinzioni nei pensieri vengono modificate attraverso un approccio empirico: si mettono in discussione i contenuti di pensiero, si esaminano contro-evidenze, si cercano spiegazioni alternative, si usano processi educativi e strategie per combattere gli errori cognitivi. Ad esempio, il trattamento si può focalizzare sulla modifica dell’interpretazione sbagliata dei propri sintomi: al paziente viene insegnato a mantenere le sensazioni ansiose, riducendo i comportamenti di autocontrollo e permettendogli così di riconoscere la falsità delle spiegazioni catastrofiche.

Quasi con la stessa modalità con cui riconosci ad un certo punto un falso amico, con cui sei costretto, per conoscerne la falsità, ad intrattenerti per un po’.

D.ssa Elena Tigli

 

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