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Quando la cicogna non arriva…maternità negata ed emozioni

Simona arriva in consultazione come una furia. Entra di corsa, la faccia scura, sbatte letteralmente la borsa sulla poltrona e butta la giacca sull’attaccapanni, accasciandosi sfinita. Le offro una tisana, la sua tensione è evidente.

Non è stata una buona giornata questa…”, le dico.

“No dottoressa, per niente, sono arrabbiata, arrabbiata come non mai. L’ultima delle mie colleghe, in ufficio, che ancora non lo era è rimasta incinta. Non sono riuscita nemmeno a congratularmi, ad abbracciarla, non ce la facevo, non mi sono nemmeno scusata, me ne sono andata e mi sono chiusa in bagno, ma non sono riuscita nemmeno a piangere, non riesco a fare nemmeno quello, non sono più in grado di fare nulla di buono. Mi sentivo in un buon periodo, serena, tranquilla, ma appena raggiungo quello che penso sia un equilibrio, qualcosa dall’esterno arriva a turbarlo. Poi mi rendo conto che divento intrattabile anche con chi non c’entra nulla, rispondo male, sono aggressiva, ma io non sono così…non ne posso più!! ”

Simona ha 34 anni e da 4 con il marito, è alla ricerca di una gravidanza che non arriva. Dopo un lungo periodo di tentativi naturali, in coppia, hanno deciso di affrontare gli esami previsti dai protocolli medici, e sono al secondo tentativo di fecondazione medicalmente assistita.

Simona, porta con sé un bagaglio emozionale complesso, di profonda sofferenza, caratterizzato da sentimenti di impotenza, inferiorità, vergogna, frustrazione, rabbia, solitudine derivanti dalla difficoltà di mettere in atto un processo generativo naturale e dal fallimento o dall’inadeguatezza, da lei percepita, di precedenti tentativi medici.

C’è un conflitto molto forte, in lei, tra un desiderio di maternità che vorrebbe essere l’immediatamente realizzato, quasi in modo onnipotente, e i limiti del corpo, che non sempre procede di pari passo con le dinamiche emotive.

Questo va a minare in modo altrettanto profondo il senso d’identità, che a tratti va a perdere di senso; senza quell’obiettivo Simona sente di non capire più chi è , e di non avere scopi.

Eppure ci sarebbero delle cose che le piacerebbe fare, solo per lei, e che ha sempre rimandato; non è soddisfatta del suo lavoro, che pure si è abituata a svolgere e per il quale è riconosciuta e stimata dai superiori. Vorrebbe lavorare in un laboratorio di pasticceria “Impastare, creare dolci, vedere che da una materia inerte come la farina,  ne viene fuori qualcosa di vivo, e sempre diverso. Ma mio marito non sarebbe d’accordo, e poi cosa penserebbero gli altri di me, io ho studiato, ho fatto l’università per qualcosa, per avere un lavoro sicuro e raggiungere degli obiettivi….”

E poi quella rabbia, quella rabbia che si concentra nel ventre e nella gola. Simona mostra sintomi e  desideri dalla forte valenza simbolica. Ci abituiamo, durante il lavoro insieme a stare sulle emozioni che sente, a non disconoscerle ma ad elaborarle.

E’ inevitabile però anche il lavoro sull’aspetto simbolico, il parallelo tra il generare un’altra vita ed il generare se stessi. Generare  o ri-generare se stessi implica un cambiamento profondo, che va vissuto e va accettato. E’ necessario avere il coraggio di andare oltre la propria “zona sicura”  e mettersi in gioco davvero; i cambiamenti nella vita ci sono continuamente ed inesorabilmente, ma noi siamo sempre disposti ad accettarli senza riserve?

La soluzione a volte può essere quella di arrendersi agli eventi. L’eccessiva razionalità infatti, un modo di pensare solo e costantemente logico e consequenziale, una testa che vorrebbe decidere persino i tempi del concepimento, sono i primi nemici di chi vorrebbe avere un figlio.

In realtà questo evento non dipende da noi, anzi quanto più siamo fermi nei nostri propositi tanto più la natura si ribella, “blocca il progetto” e parte lo stress, anche attraverso la produzione di ormoni endogeni che ne sono l’espressione e che non facilitano la libera produzione di quegli ormoni invece che sostengono e facilitano il concepimento.

Simona poi è bloccata dal giudizio e dagli schemi rigidi che le sono stati tramandati a livello educativo; vorrebbe ma sostiene di non potere, ma in questa fase della sua vita ha forse bisogno di esprimere di più i suoi bisogni e desideri e generare davvero se stessa. Un evento nuovo ed inaspettato ha forse bisogno di una Simona nuova ed altrettanto inaspettata.

Che fare dunque? Nulla, se non arrendersi all’evidenza dei fatti, spogliarsi dell’armatura, smettere di combattere, ma agire invece nella direzione dell’assecondare noi stessi.

Accettare che il concepimento sia un evento misterioso, che accade quando deve accadere è l’unico modo per non lasciarsi sopraffare dalle emozioni negative…e favorire davvero l’evento tanto atteso.

D.ssa Elena Tigli

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